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La Casa Teatina di Piacenza, come si è visto, nasceva sotto la tutela dei maggiori esponenti dei Chierici Regolari, come Andrea Avellino, Burali, Vivaldo e Barbuglio e aveva certamente come modello la chiesa principale dell’Ordine, S. Andrea della Valle, a cui assomiglia nella struttura: pianta basilicale a tre navate con limitato transetto, ripartizione delle cappelle laterali, comunicanti tra loro, per il solo contenimento dell’altare, illuminazione con finestre ampie in doppia altezza, grande cupola sul capocroce. Tuttavia la soluzione piacentina della chiesa teatina, progettata all’interno dell’Ordine dal teatino Pietro Caracciolo, rientra in queste affinità strutturali, a cui si aggiungono le ricche commissioni artistiche delle pale d’altare e degli affreschi del coro e del transetto. Alle prime si provvide subito nei decenni successivi all’apertura della chiesa di S. Vincenzo e precisamente: un S. Bernardo del genovese Domenico Fiasella e un S. Carlo del bolognese Alessandro Tiarini rispettivamente nella seconda e nella quarta cappella a sinistra, una S. Cecilia del fiorentino-genovese Sebasiano Galeotti, un S. Andrea Avellino colpito da apoplessia mentre celebra la messa dell’urbinate Benedetto Marini, un S. Andrea Apostolo del modenese Camillo Gavasetti e una SS.ma Trinità del cremonese Malosso nelle cappelle della navata sinistra.
Carlo Francesco Nuvolone dipinse la Purificazione nel 1645, capolavoro in cui si manifesta tutta quella dolcezza, nella quale immergeva anche i temi drammatici e la quale gli meritò la denominazione di “Guido Reni della Lombardia”. La Purificazione era stata richiesta per l’Oratorio del chiostro maggiore dall’organismo più potente di Piacenza, il Collegio dei Mercanti, di cui in quegli anni fu console il conte Bernardo Morando, primo letterato di corte e autore di un diario sulla peste del 1630. Egli aveva aperto le commesse anche verso Genova, di cui era originaria la sua famiglia; infatti nel 1643 aveva chiesto a Domenico Fiasella la Madonna e San Bernardo per la secondo cappella a destra della stessa chiesa di S. Vincenzo; egli si fece seppellire proprio presso quell’altare. Anche il canonico Pietro Maria Campi, il maggiore storico piacentino prima di Cristoforo Poggiali, volle essere sepolto in S. Vincenzo, benchè l’epigrafe che ricordava questa illustre sepoltura nel sagrato si sia perduta da oltre un secolo.
Tutti questi sei grandi dipinti della chiesa di S. Vincenzo, sopravvissuti alle incerte vicende degli ultimi trent’anni, si possono fortunatamente vedere esposti nella PINACOTECA di Palazzo Farnese; osservandoli attentamente, si può notare come i Teatini avessero scelto pittori di grande qualità senza badare alla diversità dell’impostazione artistica e tanto meno ai costi.
La più impegnativa impresa, la decorazione delle superfici del coro e del transetto e poi della cupola e della navata centrale furono realizzate nei decenni successivi. Nel santuario e nel coro le architetture scenografiche furono affidate ad Andrea Galluzzi piacentino (1689-1719), allievo di Francesco Galli Bibiena, mentre i tre riquadri delle pareti del coro furono affrescati da Roberto De Longe, fiammingo stabilitosi a Piacenza nel 1686; nei tre quadri il Martirio di S. Vincenzo di Saragozza, martirizzato sotto Diocleziano nel 304, diacono, dopo la Tortura dello strazio degli arti davanti al prefetto Daciano e la Detenzione in prigione sopra cocci acuminati (dove avviene il miracolo della potente illuminazione, subisce infine il Supplizio sulla graticola; è un martirio molto simile a quello di S. Lorenzo, pure diacono e pure originario di Saragozza, morto sotto Valeriano 50 anni prima a Roma, dove aveva seguito il papa Sisto II, martirizzato con lui. S. Vincenzo è invocato come protettore degli orfani, delle vedove e dei poveri.
Nella cupola e nei bracci del transetto, sempre con scenografie del Galluzzi, le figure furono dipinte da Giovanni Evangelista Draghi, genovese stabilitosi a Piacenza nel 1683 in una casa dei chiostri del Duomo. I dipinti del De Longe e del Draghi sono di qualità notevolmente alta per la cura compositiva e formale e per la brillantezza cromatica; ora sono da studiare a fondo e vanno rapportati alle loro altre numerose opere diffuse nelle chiese e nei palazzi della città.
La volta della nave centrale per l’elegante ornato fu affidata ai milanesi Felice Biella e Federico Ferrari e terminata nel 1761; i vivaci ritratti commemorativi dei santi venerati dai teatini si riconducono al secolo successivo.
La chiesa di S. Vincenzo è la maggiore di quelle possedute dal Comune di Piacenza (S. Ilario. S. Tomaso, Carmine) ed è l’unica completamente affrescata della città, a parte la chiesa di S. Teresa, e quindi ha un valore aggiunto rispetto ad altre delle numerose chiese sopravvissute alla prepotenza napoleonica e all’incuria dei contemporanei.