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Ecce Homo
Vera perla della collezione artistica del Cardinale Alberoni è l’Ecce Homo di Antonello da Messina, preziosissimo capolavoro tra i più intensi e drammatici di uno dei maggiori artisti della pittura occidentale A questo assoluto gioiello artistico è interamente dedicata la terza sala dell’appartamento del cardinale.
La preziosissima tavola fa parte del lascito del cardinale Giulio Alberoni (1664-1752) al Collegio da lui fondato a Piacenza nel 1752. Fu quasi sicuramente acquisito dal cardinale a Roma intorno al 1725, insieme agli arredi di Palazzo Lana Buratti, situato nel Rione Trevi, presso la chiesa degli Angeli Custodi. Una volta entrato in possesso dell’Alberoni, si possono seguire con precisione le vicende del dipinto che è registrato in un inventario del palazzo risalente al 1735 come «opera dell’antico Antonelli», e poi ancora in quello del 1753, steso un anno dopo la morte del cardinale. Nel 1761, l’opera venne trasferita a Piacenza dove, da allora, è sempre stata conservata. Il quadro fu ‘riscoperto’ all’inizio del Novecento e sottoposto all’attenzione degli studiosi; da allora è sempre stato giustamente considerato come uno dei più alti capolavori del grande pittore messinese.
Il soggetto, un’originalissima sintesi del tema dell’Ecce Homo con quello del Cristo alla colonna, è caratterizzato da una ripresa ravvicinata, che conferisce alla rappresentazione una forte carica drammatica e patetica. Antonello si rivela uno degli esponenti di punta di quel rinnovamento dell’immagine per la devozione privata - indirizzato alla sperimentazione di formule iconografiche più icastiche e comunicative - che si sviluppa in Italia nel tardo Quattrocento, in un fecondo scambio di esperienze con la coeva pittura di Fiandra. La composizione, come è noto, è stata più volte replicata dal maestro messinese. La versione di Piacenza è senza dubbio la più risolta, per la matura sicurezza dell’impostazione spaziale e la sapiente gradazione degli effetti luminosi. Antonello sembra aver definitivamente conquistato in questo dipinto, e nella versione successiva e variata oggi conservata al Louvre, quella stupefacente sintesi tra realismo lenticolare di ascendenza fiamminga e visione plastico-prospettica tipica della civiltà figurativa italiana.
La tecnica impiegata dall’artista appare assai sofisticata. Il supporto è composto da una tavoletta molto sottile, circa 5-6 mm di spessore, probabilmente in legno di rovere, con la fibra disposta in senso verticale. Lo strato di preparazione è sottilissimo così come la pellicola pittorica, realizzata ad olio; L’esecuzione è di un’estrema finezza tecnica, a velature di colore trasparenti, senza che sulla superficie si legga alcuna traccia della pennellata. Le condizioni conservative della tavola piacentina appaiono ottime: siamo così ancora in grado di apprezzare appieno, come di rado avviene in altre opere di Antonello, la raffinata resa di particolari quali i capelli e i peli della barba, le lacrime, le stille di sangue, che contribuiscono in maniera decisiva all’effetto potentemente drammatico e realistico che promana da questo doloroso volto di Cristo.