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Fu fondata nell’869 dall’imperatrice Angilberga, moglie di Ludovico II. Angilberga lasciò la corte di Roma e si ritirò a Piacenza, costruendovi nell’874 un monastero di benedettine intitolato alla Resurrezione del Salvatore e una chiesa annessa dedicata ai santi Sisto e Fabiano. Il monastero, dotato di diritti di navigazione e pesca sul Po e di ricchi possedimenti, passò nel 1112 ai benedettini di Polirone di Mantova, finché nel 1425 vi si stabilirono i monaci benedettini dell’ordine Cassinese. Nel 1499 si procedette alla costruzione della nuova chiesa con l’incarico della progettazione e della costruzione ad Alessio Tramello, che lo portò a termine nel 1511, mettendo a frutto in questa sua prima opera piacentina conosciuta la lezione di Bramante.
L’accesso avviene dal robusto portale a bugne rustiche e mascherone datato 1622, che introduce a un triportico con colonne ed archi, tra cui sono affrescati medaglioni con volti di illustri benedettini. Il triportico, la facciata e il monastero - non visitabile in quanto area militare - furono costruiti nella seconda metà del Cinquecento (1591-1596). Sul lato destro un bellissimo cancello in ferro battuto tardocinquecetesco, il cui pendant si trova in un Museo parigino. L’interno presenta una suddivisione in tre navate con pregiate colonne in granito (con scudi non scolpiti) e volta centrale a botte, l’innovazione più vistosa, un doppio transetto con doppia cupola semisferica, che sostituisce il tradizionale tiburio poligonale; quelle laterali sono coperte a cupoline semisferiche. Alle estremità del primo transetto sono posti due graziosi tempietti a croce greca con nicchie e cupoline, che riassumono la perfetta sintonia tra la geometria del quadrato e del cerchio.
Il fregio che percorre tutta l’imposta della volta, in monocromo su fondo blu con motivi vegetali e figure allegoriche, e la prima cupola con Sibille sono di mano di Bernardino Zacchetti da Reggio Emilia, che proveniva dal cantiere di Michelangelo nella volta della Cappella Sistina. Gli affreschi delle cappelle sono in gran parte dei fratelli Antonio e Vincenzo Campi, cremonesi, mentre tra i dipinti sono da segnalare quelli di Camillo Procaccini (pala del terzo altare a destra e la drammatica Strage degli innocenti nel coro) e di Jacopo Palma il Giovane nel coro. I settecenteschi paliotti degli altari in stucchi policromi sono di manifattura modenese-carpigiana ad imitazione dei marmi.
Nel secondo transetto a sinistra è posto il il monumento a Margherita d’Austria, alla quale si deve la costruzione di Palazzo Farnese, figlia di Carlo V e moglie del secondo duca Ottavio Farnese, e morta ad Ortona degli Abruzzi nel 1586, che aveva voluto essere sepolta in San Sisto. Il monumento, progettato da Simone Moschino, doveva essere realizzato in poco tempo e con un prezioso ritratto bronzeo, ma diversi scultori si alternarono nei decenni successivi. Alla testa opposta è il monumento a S. Barbara (1926), protettrice degli artiglieri, mentre sui bracci stanno due cappelle con bei due dipinti con cancelli di moderato rorocò (1740).
Sul presbiterio si affacciano due fastose cantorie in legno dorato di G. Sete (1697), cui si deve anche l’effervescente cornice della celeberrima Madonna Sistina di Raffaello, copia dell’originale venduto ad Augusto III di Sassonia nel 1754 dai monaci per rinforzare gli argini verso il Po e collocato tuttora nella Gemaldegalerie di Dresda.
Pregevolissimo il coro in noce intarsiato e datato 1514, opera di Gianpietro Pambianco da Colorno e Bartolomeo Spinelli da Busseto. Il coro rappresenta prospettive di città, paesaggi, oggetti, nature morte ed è uno degli ultimi esempi cinquecenteschi di tarsia a motivi prospettici; da notare la chiesa di S. Sisto vista dall’abside e un rigo mussicale. Sopra gli stalli sono collocate dodici statue dei santi protettori del monastero; al centro è posto un maestoso leggio per gli antifonari letti dagli stalli. Di notevole interesse anche l’ampia sacrestia e la scala elissoidale ricavata nella torre campanaria (1506-1507), che porta alla cripta, la parte più antica della chiesa, sostenuta da quattro possenti pilastri, nella quale sono conservate urne con reliquie di santi martiri; recentemente è stato recuperato anche il coro ligneo.
Il convento fu soppresso in epoca francese e trasformato in caserma, come è tuttora, mentre la chiesa divenne parrocchia sostituendosi a Santa Maria di Borghetto, di cui oggi rimangono solo due colonne inglobate in un edificio. I corpi di fabbrica si sviluppano attorno a due grandi ed eleganti chiostri, nel secondo dei quali sono poste la sala capitolare, adibita a museo del Genio Militare, e la cappella.
Negli ultimi decenni del Novecento numerosi interventi di restauro hanno interessato la chiesa, dalla struttura agli arredi lignei della Sacrestia con stucchi seicenteschi, alle decorazioni pittoriche, tra cui i dipinti ovali. Presso la Biblioteca Comunale Passerini Landi si conserva il preziosissimo Salterio di Angilberga da lei donato, secondo la tradizione, al Monastero di San Sisto; esso fu compilato su pergamena purpurea a lettere d’oro e d’argento nell’anno 827. Il Codice restò al Monastero fino al 1803, quando passò a Moreau de Saint Méry, amministratore francese del ducato di Parma e Piacenza, che al termine del suo incarico lo portò con sé in Francia. Fu poi recuperato da Carlo Poggi, che lo acquistò in Francia a proprie spese e nel 1820 lo donò alla Municipalità di Piacenza.