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Il luogo dove sorge la chiesa di Santa Maria di Campagna è storicamente legato ad un momento cruciale nella rinascita dell'Occidente cristiano: il Concilio del 1095, che diede origine al movimento delle Crociate. A quell'epoca in quest'area, benché si trovasse fuori dalle mura cittadine, esisteva un santuario dedicato alla Madonna e detto di "Campagnola". Il luogo era inoltre passaggio obbligato per i pellegrini in viaggio verso la Terra Santa o verso Roma e rivestiva dunque un chiaro significato simbolico nell'ottica di chi, come lo stesso papa Urbano II che aveva voluto il Concilio, pensava a riunire la cristianità nella grande impresa della riconquista dei luoghi santi.
La chiesa attuale, che sorge su quella documentata nel 1030, fu costruita a partire dal 1522 su progetto di Alessio Tramello, il maggiore architetto piacentino che qui - come nelle altre due chiese della città legate al suo nome, S. Sepolcro e S. Sisto - dimostra di saper declinare con grande padronanza linguistica la lezione milanese del Bramante soprattutto nel possente tiburio che richiama quello di S. Maria delle Grazie. In S. Maria di Campagna egli si confronta con un tema fondamentale dell'architettura rinascimentale, il tempio a pianta centrale e a croce greca , trovando una soluzione armonica nell'articolazione dei volumi esterni e degli spazi interni, non priva inoltre di idee originali, quali i quattro grandiosi pilastri, che reggono la cupola e creano le cappelle angolari con i loro tiburi. Lotario Tomba nel 1791, intervenne sul presbiterio, mentre il coro era già stato ampliato nel terzo decennio del Cinquecento. La statua in legno policromo raffigurante la Madonna di Campagna, anticamente molto venerata, e quelle analoghe di Santa Caterina e San Giovanni Battista risalgono al XIV secolo. Tale datazione é suggerita, ad esempio, dal leggero hanchement del fianco sinistro della Vergine, ancora tipicamente gotico. Giovanni Antonio De Sacchis, detto il Pordenone, realizzò tra il 1529 e il 1531 gli affreschi della cupola centrale, della cappella di Santa Caterina, della cappella dei Magi (dove si é individuata anche la partecipazione di aiuti) e, infine, il Sant'Agostino, affresco staccato sulla parete sinistra dell'ingresso. L'abilità del pittore nella resa delle figure di scorcio trova la massima espressione negli affreschi della cupola, in particolare nella lanterna con Dio Padre raffigurato nella lanterna nell'atto di scendere verso l'altare, volteggiando sorretto da festanti e innumerevoli putti, e negli spicchi della cupola con profeti, sibille e apostoli. Gli affreschi del tamburo e dei pennacchi (Storie della B. V. e i quattro Evangelisti) furono assegnati a Bernardino Gatti, avendo il Pordenone abbandonato arbitrariamente il cantiere.
La chiesa ebbe il valore di "tempio civico" e svolse la funzione di cappella ducale dei Farnese. A ciò si devono i riferimenti alla città di Piacenza in alcuni degli affreschi che la decorano. Come ad esempio nella lunetta con la Decollazione di Santa Caterina, dove nella scena urbana sullo sfondo si può scorgere il campanile del Duomo, mentre altri riferimenti compaiono nella città alle spalle della scena principale nel San Giorgio e il drago di Bernardino Gatti a destra dell'ingresso. A lato della statua di Clemente VII Medici, promotore di Alessandro Farnese al ruolo di papa, quella di Ranuccio I Farnese eseguita da Francesco Mochi dimostra che la funzione di cappella palatina della chiesa si conservò anche nel secolo successivo.
L'Annunciazione di Camillo Boccaccino, risalente al 1530 e oggi collocata nel presbiterio, costituiva in origine la decorazione delle facce interne delle ante di uno dei due organi della chiesa (all'esterno erano raffigurati i Profeti Davide e Isaia, oggi conservati nella Pinacoteca dei Musei Civici di Palazzo Farnese). Degno di nota è il coro ligneo realizzato tra il 1560 e il 1565 da Giulio Rossi. Al piacentino Giulio Mazzoni si deve la decorazione a stucco ed affresco della cappella di Santa Vittoria, rarissimo esempio di decorazione tardomanierista di derivazione romana. All'inizio del Seicento risalgono il S. Sebastiano e il S. Rocco di Camillo Procaccini nel braccio sinistro. Alla fine del Seicento risale, invece, la pala con La Madonna e Santi di Pier Antonio Avanzini per la cappella di S. Antonio (dove è oggi collocato anche il quadro di Camillo Procaccini raffigurante il Perdono di Assisi datato 1610. L'Annunciazione di Ignazio Stern è datata 1724, mentre al 1757 risale il gruppo scultoreo con il Crocifisso, la Vergine, San Giovanni e la Maddalena opera di Jan Jacob Geernaert, entrambe nel transetto destro. Grande interesse rivestono anche le tele rettangolari del fregio eseguite da vari artisti tra la prima metà del Seicento e la prima metà dell'Ottocento, tra cui Alessandro Tiarini, Daniele Crespi, Camillo Gavasetti, Guercino, Pesci e vari altri. Tra le opere ottocentesche conservate nella chiesa si possono ricordare i sei ovali con Santi, opere giovanili di Gaspare Landi.